30 Aprile 2023

Greenwashing: proposta di legge della Commissione europea

(di Michele Spangaro)

La Commissione europea ha presentato il 22 marzo 2023 la proposta di Direttiva Green Claims, volta a combattere in modo sempre più chiaro le pratiche di greenwashing. La proposta interessa tutte le autodichiarazioni volontarie riguardanti gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali di un prodotto, di un servizio o l’operatore stesso. Uno studio del 2020 della Commissione europea, citato nel preambolo della proposta di direttiva, ha rilevato che il 53% delle dichiarazioni ambientali fornisce informazioni vaghe, fuorvianti o infondate sulle caratteristiche ambientali. Un altro problema è la confusione che al momento regna in questo settore. Oggi, sottolinea Bruxelles, esistono più di 200 etichette ambientali attive a livello UE e più di 450 in tutto il mondo; ci sono, inoltre, più di 80 iniziative e metodi di rendicontazione ampiamente utilizzati solo per le emissioni di CO2.

Ecco perché è così importante fare chiarezza: servono metodi affidabili, completi e armonizzati a livello europeo per calcolare le impronte ecologiche delle diverse categorie di prodotti, sul loro intero ciclo di vita (produzione, consumo, smaltimento). È per trovare una soluzione a questo problema che la Commissione Europea ha presentato la proposta relativa alla nuova normativa sui “Green Claims”, utilizzati dal marketing per sottolineare caratteristiche ambientali e di sostenibilità dei prodotti che molte volte sono esagerati. L’obiettivo è quello di creare uno schema comune, con regole certe che riguardino tutti, per mettere le aziende in condizione di competere in un contesto chiaro, facendo emergere chi si sta impegnando seriamente per ridurre i propri impatti ambientali. Allo stesso tempo si vuole anche mettere il consumatore nella condizione di fare scelte consapevoli, senza essere vittima di informazioni ingannevoli o poco chiare.

Come dovranno comportarsi le aziende?

Secondo la proposta, quando le aziende sceglieranno di fare una “dichiarazione verde” sui loro prodotti o servizi dovranno rispettare norme minime su come sostanziare tali affermazioni e su come comunicarle.  La proposta riguarda affermazioni esplicite, come ad esempio: “maglietta realizzata con bottiglie di plastica riciclate”, “consegna con compensazione di CO2”, “imballaggio realizzato con il 30% di plastica riciclata” o “crema solare rispettosa dell’oceano”. Prima che le aziende comunichino ai consumatori una qualsiasi “dichiarazione ambientale”, queste indicazioni dovranno essere verificate in modo indipendente e dimostrate con prove scientifiche. Quindi entra in gioco un verificatore di terza parte che dovrà certificare la veridicità di quanto dichiarato e rilascerà un certificato valido in tutta l’UE. Nell’ambito dell’analisi scientifica, le aziende dovranno identificare gli impatti ambientali effettivamente rilevanti per il loro prodotto, oltre a individuare eventuali compromessi, per fornire un quadro completo e accurato.

Informazioni in etichetta

Nel contrasto a operazioni di greenwashing sarà cruciale lo strumento del Product Environmental Footprint (PEF) quello che oggi, prendendo in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto, fornisce indicazioni sul suo impatto ambientale. Ecco, questo sistema secondo Bruxelles dovrà essere implementato e vincolante per gli Stati membri in modo tale da avere un metodo condiviso per valutare se, ad esempio, si può parlare davvero di un qualcosa di “verde” o meno. Quelle etichette che utilizzano un punteggio aggregato dell’impatto ambientale complessivo del prodotto su, ad esempio, biodiversità, clima, consumo di acqua, suolo, ecc. non saranno più consentite, a meno che non siano stabilite dalle norme dell’UE. I vari paesi dell’Unione Europea dovranno garantire l’applicazione delle regole e introdurre sanzioni per i trasgressori che dovranno essere “efficaci, proporzionate e dissuasive” con importi stabiliti a seconda della “natura e gravità della violazione” e la multa potrà variare anche a seconda del potenziale danno ambientale causato.

La compensazione delle emissioni

Inoltre, secondo i piani, le aziende che intendono promuovere gli aspetti climatici o ecologici positivi delle loro offerte dovranno anche evidenziarne, nel caso, gli effetti negativi. In particolare, i termini utilizzati per promuovere un prodotto che dovranno essere verificati con esattezza e comprovati sono alcuni di quelli che oggi stiamo già cominciando a leggere spesso: ad esempio “climate neutral”, ”carbon neutral”, oppure espressioni come “100% CO2 compensato”. Con studi che di recente stanno rivalutando in negativo il sistema delle compensazioni di CO2, e diverse critiche a questo metodo che arrivano anche da parte del mondo ambientalista, l’idea di vendersi come “green” solo perché si emette ma si compensa altrove (ad esempio piantando alberi dall’altra parte del mondo) dovrà essere rivista, oppure essere ancora più chiara sui risultati ottenuti. Insomma, rendicontata in ogni modo, perché altrimenti si rischia di fuorviare i consumatori “quando le affermazioni si basano su tali compensazioni”. Altro punto chiave per la trasparenza sarà, ad esempio, migliorare gli annunci sulla riduzione delle emissioni.

Spesso ci imbattiamo in aziende o slogan che promettono di ridurre la propria impronta ecologica, talvolta fissando le soglie di questo miglioramento “entro il 2030”. Per l’Europa sarebbe però fondamentale anche dire da quando è iniziato questo percorso di riduzione, oltre che come: se per esempio un’impresa ha ridotto le proprie emissioni del 50% dal 2017 non è la stessa cosa se lo ha fatto nell’identica percentuale ma dal 1999. Dunque, le aziende sono invitate a specificare meglio date e dettagli dei propri obiettivi.

Materiali green

Inoltre, un giro di vite è previsto anche per l’uso, quando non chiaro o comprovato, delle parole “biodegradabile”, “compostabile”, o ancora “bio-based”. Per questi termini si vuole promuovere maggiore specificità e, per esempio, solo i materiali che sono stati confermati come compostabili industrialmente dovrebbero essere etichettati proprio come “compostabili”.

Così come serviranno etichette, ricche di dettagli, anche per definire un prodotto biodegradabile mentre le bioplastiche “dovrebbero fare riferimento solo alla quota esatta e misurabile del contenuto di plastica a base biologica nel prodotto”. Le microimprese (meno di 10 dipendenti e meno di 2 milioni di fatturato) saranno esentate dagli obblighi della proposta. Dopo la procedura legislativa ordinaria, la proposta di Green Claims Directive sarà ora soggetta all’approvazione del Parlamento Europeo e del Consiglio. Secondo la proposta normativa saranno le organizzazioni dei consumatori a intentare le azioni legali per far rispettare la normativa.

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